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 | Le perle sono come le favole dei poeti: un malanno trasformato in bellezza. (Karen Blixen) Sono una piccola matita nelle mani di Dio. (Madre Teresa di Calcutta) I libri sono specchi in cui troviamo solo ciò che abbiamo dentro di noi. (Carlos Ruiz Zafón) Meglio scrivere per sé stessi e non aver pubblico, che scrivere per il pubblico e non aver sé stessi.
(Cyril Connolly) Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla. (Alessandro Baricco) I libri andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno. (Emil Cioran) I libri servono a capire e a capirsi, e a creare un universo comune anche in persone lontanissime. (S. Tamaro) I veri libri devono essere figli non della luce e delle chiacchiere, ma dell'oscurità e del silenzio. (Marcel Proust) La vita è un libro pieno di domande, e le risposte si possono trovare soltanto attraverso l'esperienza. (Bambarén) Spegnere il televisore per far leggere un libro porta il bambino a odiare la lettura. (Gianni Rodari) Il fare un libro è men che niente se il libro fatto non rifà la gente. (Giuseppe Giusti) L'ispirazione è una farsa che i poeti hanno inventato per darsi importanza. (Jean Anouilh) Sarebbe bello durare quanto i racconti che abbiamo ascoltato e che raccontiamo. (Stefano Benni) Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere. (Daniel Pennac) I libri hanno gli stessi nemici degli uomini: il fuoco, l'umido, le bestie, il tempo ed il loro stesso contenuto. (Valéry) Una notte d'amore è un libro letto in meno (Honorè de Balzac) Un quadro, un racconto o un romanzo sono impressioni dirette della vita. (Henry James) La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare (A. Schopenhauer) Una casa senza libri è come un corpo senza anima. (Proverbio yiddish) Scrivere è come correre da un innamorato e l'innamorato è il racconto, il romanzo. (Dacia Maraini) Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto. (Italo Calvino) Un libro sogna. Il libro è l'unico oggetto inanimato che possa avere sogni.
(E. Flaiano) I libri più vecchi, per coloro che li sanno apprezzare, è come se fossero appena usciti. (Samuel Butler) Alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti. (Francis Bacon) Non c'è miglior modo per custodire un segreto che un romanzo incompiuto (Italo Calvino) Ascolta, Paula, ti voglio raccontare una storia, così quando ti sveglierai non ti sentirai tanto sperduta. (I. Allende) Un buon libro è quello nel quale è inciso in un modo o nell'altro il ritratto dell'autore. (Nachman di Breslav) Tutte le nostre parole non sono che briciole cadute dal banchetto dello spirito. (Kahlil Gibran) Chi brucia i libri, presto o tardi arriverà a bruciare esseri umani. (Heinrich Heine) Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti. (Jules Renard) La lettura dei buoni libri è una sorta di conversazione con gli spiriti migliori dei secoli passati. (Cartesio) Chiedetevi più volte perché e solo quando riterrete la motivazione valida iniziate a scrivere. (Luca Gallo) A volte, per sopravvivere, una persona ha bisogno, più ancora che di cibo, di una storia. (Barry Lopez) L'oblio seppellirebbe ogni gloria terrena se Dio non vi avesse posto rimedio inventando i libri. (Riccardo da Bury) Un uomo che non legge buoni libri non ha alcun vantaggio rispetto a quello che non sa leggere (Mark Twain) Io sono convinta che la scrittura non serva per farsi vedere ma per vedere. (Susanna Tamaro) I libri, loro non ti abbandonano mai. Nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettanosullo scaffale (Amos OZ) La gente che non scrive ha un vantaggio: non si compromette. (Johann Wolfgang Goethe) Nessuno, nemmeno i poeti, ha mai saputo calcolare ciò che il cuore è in grado di reggere. (Zelda Fitzgerald) Nessun arredo risulta tanto elegante quanto i libri. (Sydney Smith) Chi scrive posa sempre sul mondo uno sguardo da esteta. E io non so fare altro. (Fabio Geda) Tutti i dilettanti scrivono volentieri. Perciò alcuni di loro scrivono bene. (Friederich Dürrenmatt) Ogni essere umano è il romanziere della propria storia. (Ortega y Gasset) Nessun vascello c'è che come un libro possa portarci in contrade lontane. (Emily Dickinson) Chiunque conservi la capacità di cogliere la bellezza non sarà mai vecchio. (Franz Kafka) Gli esseri umani sono narratori naturali. L'invito ad uno scambio di storie è costante. (D. Taylor) Un libro deve essere l'ascia adatta al mare ghiacciato che c'è dentro di noi. (Franz Kafka) I libri sono abbastanza buoni in sé, ma sono un ben pallido sostituto della vita. (Robert Louis Stevenson) Quando s'incomincia, il meglio viene poi da sé. (Hermann Hesse) C'è di che divertirsi a fare l'impossibile. (Walt Disney) Per questo amo i vecchi libri, perché portano con loro le storie e le emozioni di chi li ha letti prima di me (A. Gazzola) |  |
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Il gesto dell'idiota
 | Scelto da Edom70.
PROLOGO
Va’. Va’ e porta a compimento questa mia semplice richiesta: viaggia, viaggia lontano fino a raggiungere quel luogo che nessuno ancora conosce. Ma noi sappiamo che esiste.
E purtroppo pure lui lo sa.
Quindi, ti chiedo di raggiungerlo, e di fermarlo appena vedi segni di una possibile corruzione, di una possibile alleanza, cosicché saremo pronti ad agire e a fermarlo una volta per tutte.
Non ti arrendere. È un compito difficile lo so, ma se ho scelto te un motivo ci sarà: tu vedi oltre le persone, vedi oltre lo spirito e l’anima, sei capace di ascoltare, e capisci quando è il momento giusto per intervenire.
So che non mi deluderai. E ricordati che io ci sarò sempre, ovunque tu sarai, anche se la distanza che ci separa è pari all’universo intero, con i suoi pianeti, satelliti e comete che lo animano e lo fanno assomigliare a un dolce rigogolo che danza beato in un cielo ceruleo. |
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Non puoi dimenticarti | sfoglia  | |  | Cap. 1 scritto da CLEMENTE GIORGINO il 17-08-2012 |  | | La luce del sole batte forte contro i grandi affreschi ormai quasi completamente
rovinati dal tempo. I soggetti che riportano sono sempre gli stessi: santi,
contadini in ginocchio con lo sguardo rivolto verso il cielo e le mani a
guglia, oppure Cresturti che nuotano con la cosa fuori dall’acqua, o
ancora bestie feroci con occhi che paiono fatti di ghiaccio, che appena ti
volti verso di loro è come se ti chiamino da un posto molto lontano, silenzioso
e profondo, pronti a rubarti la ragione e a divorare la tua carne.
Quindi, Mesto, un po’ per timore, e un po’
perché il collo comincia a irrigidirsi, riporta lo sguardo al prete.
«Dove ci troviamo fratelli?» comincia il prete mellifluo «nella casa del Signore, giusto? Beh, quando entriamo in un’abitazione cosa facciamo? Salutiamo in segno di rispetto, esatto?».
Tutti si limitano a fare sì col capo.
«Bene, allora, visto che la chiesa è la casa del Signore, alziamoci in piedi, e
riveriamolo».
Mesto quindi si alza piano e, sempre con fare molto pacato, comincia a farfugliare un
“ciao Signore”, ma è sufficiente alto da fermare il prete.
«Scusi?» chiede lui stupito.
«Ciao» ripete Mesto «ha detto che dobbiamo salutare il padrone di questa chiesa, e io
ho fatto quanto mi è stato richiesto».
La risata della gente attorno riporta per un secondo il parroco alla realtà, e
quindi anche lui si lascia a un ingenuo sorriso.
«Fratello, che il padre la benedica».
«Fratello, che il padre la benedica» gli fa eco Mesto.
«Scusi, perché ripete quello che dico?»
«Scusi, perché ripete quello che dico? Brrrr, stupido prete, ahh scusi, perché ripete
quello che dico?».
Il parroco quindi si domanda se tutto ciò non sia frutto di un momento un po’
così, forse di un’allucinazione, forse il segno che l’età e il tempo stanno
avanzando di giorno in giorno senza la minima pausa.
Espressione di disgusto.
Ma ancora una volta è riportato alla realtà dallo schiocco delle dita e della
lingua di Mesto. Il prete non fa in tempo a chiedere il motivo di tutta quella
scenata che subito l’uomo si rimette a sedere tranquillo e blando. I parenti di
Mesto intanto fanno finta di niente, qualcuno si perde a studiare i profili e i
lineamenti della chiesa, altri invece che prendono in mano il libro dei canti,
e altri ancora che parlano a voce bassa con il vicino.
Il prete poi continua a parlare. «Bene, fratelli, dopo aver salutato il Signore,
siamo pronti per la cerimonia.
Cos’è il battesimo? Il battesimo è quel momento in cui un genitore spiana la strada
per il proprio figlio. Ma attraverso che cosa?».
«Una pala» risponde secco Mesto, anche se questa volta più nessuno ci fa caso.
«Attraverso la fede. E l’olio che ora passerò sulla fronte dei vostri bambini permetterà
loro di cominciare a camminare su questa strada sterrata. E voi, subito dopo di
me, farete il simbolo della croce sulla fronte dei vostri figli.
Perché questo, cari fratelli? Perché tutto deve essere ereditario. Il genitore passa la propria fede al pargolo, e il pargolo a sua volta quando crescerà, darà la sua fede alla propria prole».
Espressione di gioia.
Mesto per un secondo si ricorda dei tempi
della scuola. Il suo insegnate, il professor Plarto, pretendeva sempre il
massimo da lui, anche se non era mai riuscito a capire il perché. Quell’uomo
sembrava un diavolo.
«Dai, su, a studiare! Non sei stupido. Hai
qualcosa dentro che mi preoccupa!».
«Preoccupa per cosa, maestro?» gli chiedeva Mesto, sempre schioccandosi le dita.
«Che tu mi possa superare».
«E allora perché mi sprona a studiare?».
«Perché così, quando non ci sarà più il sottoscritto, la gente avrà la certezza di
rimanere al sicuro per molto, molto tempo ancora». L’alunno quindi si lasciava
sfuggire un sorriso altèro. Quel maestro, che pareva un diavolo anche dalla
forma un po’ troppo aggressiva e scolpita del volto, Mesto non se lo sarebbe
mai scordato.
«Ma fratelli, non bisogna però farsi tentare dal Demonio».
Espressione d’apprensione.
«Ecco» pensa Mesto «parli del Diavolo e spuntano le corna».
Subito dopo qualche minuto l’uomo lancia un verso prolungato composto da tutte le
vocali, pronunciate un po’ in ordine sparso, simile al suono che fa una sirena.
«Per fortuna che dopo ci sarà il ristorante. Sto morendo dalla fame» dichiara l’uomo a un signore che gli è seduto vicino.
«Lei non ha fame?» chiede diretto Mesto al poverello.
Espressione d’incredulità.
L’anziano si limita a fare sì con la testa, e a sorridere, come per dire “mi fa molta tenerezza, sa?”.
Il sole, anche se è pomeriggio tardi,
continua a splendere denso dall’alto. Dall’insegna del ristorante si capisce
che probabilmente i proprietari avranno deciso una volta per tutte di pulire e
mettere in sesto qualche parte rovinata.
Sì, perché, sin da quando era piccolo, Mesto ogni sera passava per da lì, quindi
notava che il ristorante era sporco e parco.
Ora invece, magari perché i proprietari non vedevano una prenotazione così
sostanziosa da anni e anni, la m, la i e la h di “MERTH
& TIR” non sono più così sbiadite come prima, anzi, addirittura riflettono
la luce del sole.
Gli ospiti del battesimo di Nippa, l’ultima
nipotina di Mesto, nata appena pochissimi mesi fa, prendono posto con un’alta
dose di scetticismo, ancora dubbiosi sul perché i genitori della bambina
avessero scelto proprio quel ristorante, ma in un secondo si devono davvero
ricredere di tutto ciò che pensano: l’interno è molto grande, spazioso, con dei
muri ocra sorretti da colonne massicce in stile corinzio, talmente massicce che
ci vorrebbero due uomini robusti per abbracciarle completamente. I tavoli, fatti
di legno di noce, coperti da tovaglie bianche e leggere, sono disposti
perpendicolarmente tra loro, come a formare strane geometrie se visti
dall’alto. Il soffitto, elegantissimo, è a mosaico, il quale prende la forma di
tanti piccolissimi, minuscoli, quasi invisibili puntini, colorati d’azzurro,
rosso e giallo, contornati da una cornice di punti neri.
Mesto quindi si ferma a guardare il soffitto per qualche minuto, si concentra su
tutti quei colori, e riesce a scorgere in quel mosaico il contorno di un volto.
Un volto con occhi grandi, un naso e una bocca piccoli, e un mento arrotondato.
«Ehi Mesto, vieni qua».
Lui strizza l’occhio e quindi si siede.
Arriva subito il cameriere con la prima portata. Un semplice antipasto molto povero,
ma che dall’aspetto sembra davvero buono. Elo lo guarda, lo scruta a fondo.
Espressione di concentramento.
La sostanza nel cibo è tonda, verde, e alta due piani.
«Allora, caro cognatino, come va la vita? È un po’ che non ci si sente».
«Eh sì» dice subito Elo «è davvero da molto che non vieni più a casa nostra.
Neanche un bel film ci siamo più andati a vedere».
«Eh che ci vuoi fare» risponde Mesto schioccando la lingua «Il lavoro mi porta
sempre via tantissimo tempo. A volte arrivo in ufficio in tarda mattinata, e
vedi che in un attimo sono già le tre di notte».
«Ma dimmi un po’, avete trovato il rapinatore?».
Mesto si limita a fare no col capo.
«No, però siamo a buon punto con le prove. Sento che non manca molto ormai alla
fine».
«E tu invece? Come stai bello?» dice Mesto con
una pacca sulla spalla di Mur.
«Bene zio».
Menzogna.
Quindi l’uomo guarda Elo di sottecchi.
«Non glielo dici a tuo zio?».
Il ragazzo però continua a mangiare senza sollevare lo sguardo dal piatto.
«In pratica, tuo nipote mi sta facendo impazzire da cinque giorni perché vuole che lo spedisca a studiare guida».
«E perché tu non vuoi?».
Quindi Elo continua con il suo discorso: «Perché a scuola, in matematica, sta andando
sempre peggio. Sì, va bene, in tutte le altre materie ha bei voti, però non può
ripetere l’anno solo a causa di una sola. E il pomeriggio, to’, ad esempio,
prendi ieri. Stava facendo i compiti di mubibliografia, poi aveva quelli
di matematica, e lui cos’ha fatto? Ogni scusa era buona per non farli: devo
andare un attimo fuori, torno subito mamma; ho dimenticato di spegnere il
televisore...».
Il broncio di prima di Mur pian piano si sta trasformando in un ghigno.
«E quindi, fino a che non vedrò dei piccoli miglioramenti, gli ho proibito anche
solo di accennare o di dire la parola patente».
«Eh dai Elo però, non fare così. Guarda che se non prendi a 15 anni la patente, poi diventa più faticoso farla, perché c’è di mezzo l’università».
«Diglielo zio, non mi ascolta mai».
A un tratto Mur comincia a urlare, la vena sul collo gli si ingrossa pian piano,
e con lei pure il grande neo marrone vicino alla laringe.
«Sto anche prendendo lezioni private di matematica. Vedrai pa’ che otterrò voti
sufficienti».
Quindi Mesto si gira verso Elo, ma prima di incontrare il suo sguardo, un’azione
spontanea del suo corpo lo porta ad alzare di nuovo la testa e a scrutare, con
gli occhi chiusi a fessura, ancora una volta quel volto sul soffitto. Un’azione
che dura neppure due secondi.
«Boh, davvero non so cosa dire» conclude il padre del ragazzo.
Espressione di disorientamento.
«Vedremo Mur. Anche perché poi io ti conosco, so come sei fatto: ami il brivido. La velocità
per te non è una paura».
«Eh dai, tutti i ragazzi sono così. Uffa, perché devi sempre rovinare tutto? A
quattro anni no la bicicletta, a dieci no il cellulare, e ora no alla macchina?
Amo il brivido sì, ma perché è dentro di me. Amo la velocità sì, perché adoro
il vento pungente che ti accarezza i capelli. Non sono mica scemo da andarmi ad
ammazzare. Scusa tanto se ci tengo alla mia vita. Li ho gli occhi per stare
attento, le ho le mani per mantenerle salde sul volante…».
«E hai anche un bel paio di polmoni» interviene subito Mesto.
Il ragazzo ha detto il tutto prendendo un unico respiro.
«Tutto dipende da te e dal tuo comportamento, Mur» risponde Elo un po’ innervosito.
«Però devi ammettere che non è il tipo che fa cavolate» dice Mesto guardando fisso
negli occhi il cognato «e poi pensa a te: quando eri giovane non desideravi
pure tu provare ad andare veloce, avere tutti gli occhi per te quando passavi
con la macchina che ti aveva regalato tuo padre?».
«Sì, ma la macchina l’avevo comprata io. Me l’ero sudato quel gioiellino».
«Non importa papà, ora i tempi non sono più come una volta. Certo, io rispetto la
tua opinione, non sarei corretto altrimenti, ma non la condivido assolutamente».
«Ecco» risponde Mesto prontamente «è questo che intendevo con “tipo che non fa
cavolate”. Dimmi quale ragazzo ti risponderebbe così…».
Elo non sa che dire.
Espressione ansiogena. Si mordicchia le unghie e si pizzica la pelle sotto il mento.
Intanto Mur si porta le dita ai bordi delle labbra, come a levare i resti del cibo verde di prima.
Il battesimo della piccola Nippa finisce un
sacco di portate, risate e fotografie dopo.
«Ora è il turno dello zio Mesto», dice Nema sorridente con lo sguardo rivolto alla bambina.
L’uomo le si avvicina e prende in braccio la nipote. Guarda tutti quei flash di
sottecchi. Con la destra mantiene il pomello del bastone, la mano a forma di
pugno. Fa qualche posa buffa e sorride alla bambina dandole baci e
sussurrandole parole dolci come lo zenzero.
Poi, molti scatti dopo, si gira verso il tavolo su cui sono poggiati tutti i regali per la bambina. Quindi subito lascia cadere il bastone, si siede sulla poltrona e si porta la mano alla bocca.
«Ho dimenticato il tuo regalo a casa» dice con voce molto rauca alla nipotina. Lei quindi fa un piccolo sorriso, come se davvero fosse in grado di capire quelle parole.
Poi Mesto solleva ancora lo sguardo al volto del mosaico, e stavolta, la figura
sembra aver preso un’espressione di rimprovero, come a dire “non puoi
dimenticarti una cosa del genere stupidotto”. |
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© 2008 - A cura di Emilio Domenicucci
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